Decreto di esproprio
Generalità – La procedura espropriativa, non interrotta dalla cessione volontaria del bene da parte dell’espropriato, si conclude con l’emissione del decreto di espropriazione, con cui viene trasferita coattivamente la proprietà del bene all’ente espropriante a seguito della notifica ed esecuzione del decreto stesso. Il provvedimento ablativo ha natura di atto definitivo e, come tale, immediatamente impugnabile.
Questioni e applicazioni – Potendo conseguire il risultato indipendentemente dalla volontà dei destinatari, in passato l’atto non veniva considerato recettizio, dal momento che la ritardata notifica non costituiva elemento essenziale del procedimento, comportando la stessa solamente la mancata decorrenza dei termini per la proposizione del rimedio giurisdizionale.
Obiettivi di fondo – L’emanazione del decreto di esproprio comporta, per l’espropriante, l’obbligo del pagamento delle indennità; per il proprietario, l’estinzione del proprio diritto; per i terzi, la perdita degli eventuali diritti parziari costituiti sul bene. Dopo la trascrizione del decreto di esproprio, tutti i diritti (es. usufrutto) relativi al bene espropriato possono essere fatti valere non più sul fondo espropriato, ma unicamente sull’indennità.
Decreto di esproprio esecuzione
Generalità – Il decreto di esproprio non comporta l’immediato effetto traslativo della proprietà, con la conseguente estinzione di tutti i diritti parziali aventi ad oggetto il bene espropriato, occorrendo altresì che si verifichi la condizione sospensiva voluta dall’articolo 23, comma 1, lettera f, testo unico espropri, cioè che il decreto sia notificato ed eseguito.
Questioni e applicazioni – Il decreto di esproprio è eseguito dall’autorità espropriante, o dal beneficiario dell’esproprio, con l’immissione in possesso e con la redazione del relativo verbale, atti entrambi di competenza del dirigente dell’ufficio espropriazioni in quanto classificabili tra quelli di mera gestione. La notifica al proprietario dell’avviso di immissione nel possesso del suo bene deve essere effettuata almeno sette giorni prima della data stabilita e deve contenere l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora stabiliti per l’esecuzione del decreto di esproprio. L’immissione in possesso deve essere effettuata entro il termine perentorio di due anni e comporta l’appropriazione dei beni privati da parte dell’autorità espropriante.
Finalità – L’esecuzione del decreto di esproprio, consistente nella materiale presa di possesso del bene espropriato, assume pertanto la funzione di una condizione sospensiva di efficacia del decreto di esproprio.
Decreto di esproprio presupposti
Generalità – Presupposti per la legittima emanazione del decreto di esproprio sono: a) la previsione dell’opera da realizzare nello strumento urbanistico generale o in un atto di natura ed efficacia equivalente; b) l’apposizione sul bene da espropriare del vincolo preordinato all’esproprio; c) l’avvenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare; d) la determinazione, anche in via provvisoria e/o urgente, dell’indennità di esproprio; e) l’emanazione del provvedimento entro il termine di validità della dichiarazione di pubblica utilità; f) la prova che l’autorità espropriante ha compiuto gli atti relativi al pagamento o al deposito dell’indennità.
Questioni e applicazioni – Nell’accezione comune del termine, il decreto di esproprio costituisce l’atto terminale della procedura ablativa, i cui effetti sono quelli di operare il trasferimento, in capo al soggetto beneficiario, del diritto di proprietà o di altro diritto reale o relativo ad un determinato bene originariamente appartenente ad un altro soggetto. Tuttavia l’effetto traslativo non si realizza direttamente con il decreto di espropriazione, occorrendo a tal fine una ulteriore attività: l’esecuzione.
Obiettivi di fondo – L’emissione del decreto di espropriazione non conclude gli altri sub-procedimenti connessi alla procedura ablativa, primo fra tutti quello di determinazione dell’indennità definitiva; quest’ultimo seguirà infatti un percorso autonomo, destinato a concludersi solo quando l’indennità non sarà più soggetta ad alcuna forma di revisione da parte del proprietario o dei terzi che vantino diritti su di essa.
Determinazione valore aree edificabili
Generalità – L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata in misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l’indennità è ridotta del venticinque per cento.
Questioni e applicazioni – Per “interventi di riforma economico-sociale” debbono intendersi quelli caratterizzati dall’incisiva innovatività del contenuto normativo, tenuto conto anche delle finalità perseguite dal legislatore in ordine ad un fenomeno vasto di primaria importanza nazionale, dall’attinenza della disciplina dettata a un problema di grande rilevanza per la definizione del rapporto tra proprietà privata e potere pubblico e, quindi, per la vita economica e sociale della comunità intera e, infine, dalla connotazione delle norme considerate come principi che esigono un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale.
Criterio di calcolo – Il valore venale sulla cui base deve essere liquidata l’indennità per le aree edificabili è semplicemente il prezzo che il proprietario avrebbe potuto ricavare dal terreno espropriato se, invece che subirne l’esproprio, lo avesse venduto alle condizioni di mercato vigenti in quel momento.
Determinazione valore aree edificate
Nozione – Anche nel caso di espropriazione di una costruzione legittimamente edificata, l’indennità è determinata in misura pari al valore venale. Qualora la costruzione (o parte di essa) sia stata realizzata in assenza della concessione edilizia o dell’autorizzazione paesistica, ovvero in difformità, l’indennità è calcolata tenendo conto della sola area di sedime in base all’articolo 37 testo unico espropri, ossia tenendo conto della sola parte della costruzione realizzata legittimamente. Ove sia pendente una procedura finalizzata alla sanatoria della costruzione, l’autorità espropriante, sentito il Comune, accerta la sanabilità ai soli fini della corresponsione delle indennità.
Questioni e applicazioni – Il principio per cui, agli effetti dell’indennità di espropriazione o del risarcimento del danno, il valore dei fabbricati deve essere considerato in aggiunta al valore del suolo, effettuandosi la liquidazione con riferimento al valore di mercato per l’edificio (comprensivo dell’area di sedime, che da esso non è scindibile, né autonomamente apprezzabile), senza che rilevi che il fabbricato sia destinato dall’espropriante alla demolizione, non trova applicazione se il fabbricato sia privo di autonomia funzionale o abbia scarsa consistenza economica rispetto al suolo, oppure sia in condizioni talmente fatiscenti da consigliarne la demolizione con riedificazione.
Casistica – L’espropriazione di fabbricati, soprattutto quando riguarda abitazioni, è sicuramente l’ipotesi più grave che può colpire un privato e pertanto, da sempre, il legislatore ha riconosciuto un indennizzo al valore venale. Ovviamente le opere abusive non sanabili non possono essere in alcun modo indennizzate.
Determinazione valore aree non edificabili
Criterio di calcolo – Nel caso di esproprio di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola.
Questioni e applicazioni – Il parametro fondamentale cui attenersi è sempre il valore venale del bene, considerato come l’effettivo prezzo che lo stesso avrebbe in un libero mercato. È ovvio che l’ammontare varia a seconda che il fondo si trovi un’area edificabile o meno, che sia destinato all’agricoltura o vi siano già presenti costruzioni o manufatti.
Casistica particolare – A seguito della pronuncia n. 181 del 2011 della Corte costituzionale, l’applicazione del criterio del valore venale del bene per il calcolo dell’indennizzo dovuto in caso di espropriazione di un’area non edificabile comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori, i quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare, sempre all’interno della categoria suoli inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo, da determinarsi in base al relativo mercato, sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua non edificatorietà e che, quindi, il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, ha un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc.).
Determinazione valore aree residue
Generalità – La configurabilità di un’espropriazione parziale postula che la parte espropriata e quella non espropriata dell’immobile costituiscano un’unica entità funzionale ed economica, con l’effetto che il distacco della prima influisca (negativamente o positivamente) sul valore della seconda; la sussistenza di tale unitarietà economica e funzionale deve essere oggetto di specifica valutazione ad opera del giudice.
Stima differenziale – L’espropriazione parziale, per la quale l’indennità va determinata sulla base della differenza fra il valore dell’unico bene prima dell’espropriazione ed il valore della porzione residua, si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, ed inoltre implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa.
Questioni e applicazioni – Secondo la giurisprudenza l’espropriazione di un terreno adiacente a un fabbricato, che abbia o meno i connotati della pertinenza di cui all’art. 817 c.c., non è riconducibile all’espropriazione parziale ed alle regole ad essa attinenti, se l’unico proprietario dell’insieme non riceva un impoverimento maggiore rispetto a quello correlato al valore del terreno medesimo in sé considerato.
Determinazione valore reiterazione vincolo espropriativo
Criteri – Nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario un’indennità commisurata all’entità del danno effettivamente subito. Dell’indennità liquidata non si tiene conto se l’area è successivamente espropriata.
Disciplina – Qualora non sia prevista la corresponsione dell’indennità negli atti che determinano la reiterazione del vincolo, l’autorità che l’ha disposta è tenuta a liquidarla entro il termine di due mesi dalla data in cui abbia ricevuto la documentata domanda di pagamento ed a corrisponderla entro i successivi trenta giorni, decorsi i quali sono dovuti anche gli interessi legali. Con atto di citazione innanzi alla Corte d’Appello nel cui distretto si trova l’area, il proprietario può impugnare la stima effettuata dall’autorità espropriante. L’opposizione va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica dell’atto di stima. Decorso il termine di due mesi dalla richiesta senza che l’autorità espropriante abbia provveduto, il proprietario può chiedere alla Corte d’Appello di determinare l’indennità.
Obiettivi di fondo – La Corte Costituzionale ha evidenziato come la reiterazione in via amministrativa di vincoli decaduti, la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli previsti in alcune Regioni a statuto speciale non siano fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale. La Consulta ha, tuttavia, sottolineato come tali comportamenti assumano certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato. Ciò, però, solamente in assenza di previsione di indennizzo, quest’ultimo peraltro dovuto una volta che sia stato superato il limite tollerabile stabilito dalla legge (c.d. periodo di franchigia) di regola di 5 anni.
Determinazione valore del bene
Generalità – Per determinare il valore del bene, e quindi una corretta indennità di espropriazione, bisogna necessariamente osservare i seguenti principi: 1) il momento della valutazione coincide con l’emissione del decreto di esproprio o con l’atto di cessione; 2) il bene deve essere apprezzato per le sue caratteristiche intrinseche giuridiche e fattuali; 3) non incidono sulla valutazione il vincolo espropriativo e gli ulteriori effetti connessi alla realizzazione dell’opera pubblica; sono invece considerati, ed incidono in maniera essenziale sulla determinazione, tutti gli altri vincoli legali, urbanistici e/o a carattere conformativo; 4) non può tenersi conto di opere e/o migliorie successive alla comunicazione dell’avvio del procedimento; 5) il proprietario può asportare dall’immobile quanto non necessario all’espropriazione.
Questioni e applicazioni – Principio ormai pacifico in giurisprudenza è che l’edificio si stima a corpo con la sottostante area di sedime, mentre le pertinenze vanno valutate autonomamente. È stato, infatti, ripetutamente affermato che il valore del sedime non è scindibile, né autonomamente apprezzabile, rispetto al valore del fabbricato. Le aree pertinenziali, invece, mantengono la propria individualità fisica e giuridica, e sono separatamente indennizzabili come aree edificabili, se possiedono autonome possibilità di sfruttamento edificatorio; sono indennizzabili come aree agricole se urbanisticamente qualificate tali, se interessate da vincolo di inedificabilità, o se asservite volumetricamente all’area su cui insiste il fabbricato.
Obiettivi di fondo – Secondo la giurisprudenza più recente per la stima può essere utilizzato sia il metodo sintetico-comparativo che quello analitico-ricostruttivo. Ne consegue non potersi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice la scelta di un metodo di stima improntato per quanto possibile in termini di effettività (anche secondo le indicazioni della Corte Costituzionale: vedi ord. 1.10.2003, n. 305).
Determinazione valore per opere private di p.u.
Generalità – Il testo unico espropri distingue l’espropriazione finalizzata alla realizzazione di un’opera di pubblica utilità da quella tipica per la realizzazione di opere pubbliche da parte dei soggetti pubblici. Per le opere private di pubblica utilità, realizzate da soggetti privati e destinate a rimanere nella loro disponibilità, pur se rivolte a soddisfare interessi pubblici, si è da sempre tenuto conto del principio della stima al valore venale.
Differenze – Per le opere realizzate da un ente pubblico occorre distinguere, essendo diversi i criteri di determinazione delle indennità, tra le varie ipotesi espropriative: relative alle aree edificabili, non edificabili, legittimamente edificate e sulle quali è stato reiterato il vincolo espropriativo. Per le opere private di pubblica utilità si fa esclusivo riferimento all’art. 36 testo unico espropri.
Criteri – Nel caso di realizzazione di un’opera di pubblica utilità occorre determinare l’indennità in base al valore di mercato dell’immobile nelle condizioni in cui esso si trova al momento dell’espropriazione, avendo riguardo alla valutazione attribuita a beni con caratteristiche simili. Il prezzo di mercato di un bene espropriato deve essere accertato in concreto, in relazione a dati di fatto riferibili alla situazione locale alla data dell’esproprio, restando esclusa la possibilità di prendere a base di tale accertamento il valore dell’immobile riferito ad altra data e rivalutato secondo gli indici Istat, i quali riflettono le variazioni dei prezzi al consumo, ma non le quotazioni di mercato degli immobili.
Dichiarazione di pubblica utilità
Nozione – La dichiarazione di pubblica utilità consiste nell’accertamento che una determinata opera presenti quelle finalità d’interesse pubblico in virtù delle quali l’espropriazione può dirsi legittima. Si tratta non di un mero giudizio, ma di un vero e proprio provvedimento basato su valutazioni tecniche e di merito.
Questioni e applicazioni – L’approvazione del progetto definitivo contenente la dichiarazione di pubblica utilità implicita deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi senz’altro escludere che la dichiarazione di pubblica utilità di un’opera e la conseguente apposizione del vincolo preordinato all’esproprio su un determinato bene abbia carattere vincolato.
Obiettivi di fondo – La scelta di fondo del testo unico espropri è stata quella di attribuire valenza di dichiarazione di pubblica utilità sia all’approvazione del progetto dell’opera prevista dagli strumenti urbanistici, sia all’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi (piano particolareggiato, piano di lottizzazione, piano di recupero, piano di ricostruzione, piano per insediamenti produttivi e piano di zona), nonché ai più innovativi strumenti delle conferenze dei servizi e degli accordi di programma.
Disposizioni processuali
Generalità – L’attuale – e molto più snella – versione dell’art. 53 del D.P.R. n. 327/2001 recita: “…La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo. Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.
Disciplina previgente – L’art. 53 testo unico espropri prima della riformulazione disponeva: sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico. Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. La Corte costituzionale, con sentenza 11 maggio 2006, n. 191, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 53 nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a “i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, non escludeva i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. Ne era derivava pertanto la sussistenza della giurisdizione amministrativa ogniqualvolta fosse rilevabile un oggettivo, e non meramente intenzionale, svolgersi di un’attività amministrativa costituente esercizio di un potere astrattamente riconosciuto alla P.A. o ai soggetti ad essa equiparati.
Termini processuali – Tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all’articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nell’art. 119 del Codice del Processo Amministrativo.