Espropri: sistema indennitario risarcitorio fondato sul valore venale del bene

Espropri sistema indennitario risarcitorio

In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’attuale sistema indennitario risarcitorio è fondato sul valore venale del bene, applicabile non soltanto ai suoli edificabili, da ritenersi tali sulla base del criterio dell’edificabilità legale ma anche, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, ai suoli inedificabili, assumendo rilievo per tale ultima categoria ai fini indennitari e risarcitori la possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative etc.) sempre che siano assentite dalla normativa vigente (e quindi specificamente previste) sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25314 e, di recente, anche Cass., Sez. U., 19 marzo 2020, n. 7454).

La Corte di Cassazione, in particolare, ha affermato che il sistema indennitario risarcitorio è ormai svincolato dalla disciplina delle formule mediane (dichiarata incostituzionale con sentenza n. 348/2007) e dei parametri tabellari, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene, e che, quindi, il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita, ovvero con il valore venale del bene, posto che la dichiarazione d’incostituzionalità dei menzionati criteri riduttivi ha fatto rivivere detto criterio base di indennizzo, posto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 riconosciuto applicabile ai casi già soggetti al pregresso regime riduttivo ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90; tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare; l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo, fondato sulla edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37; in base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25314, citata).

Applicando i summenzionati principi la recente sentenza Cass. Civ., sez. I, 28/04/2022, n. 13401 ha ritenuto che nella fattispecie sottoposta al suo esame la Corte d’Appello aveva fatto corretta applicazione degli orientamenti giurisprudenziali, poiché dopo avere affermato, richiamando le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel giudizio di primo grado, la natura non edificatoria dell’area occupata, in quanto area ricadente, secondo lo strumento urbanistico vigente all’epoca della scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione di p.u. (P.R.G. approvato con D.A. n. 163/75) in zona F/2 ed F3 destinata, in parte, ad attrezzature sanitarie e in parte a verde pubblico e dunque a parco urbano, aveva escluso, in ragione del vincolo conformativo imposto dal Comune, una utilizzazione diversa da quella pubblicistica, ritenendo, peraltro, non decisiva la circostanza valorizzata da consulente tecnico d’ufficio che nell’area potevano essere realizzati anche alloggi per il personale sanitario, poiché tale possibilità non escludeva o limitava la destinazione del suolo, mentre ne escludeva comunque il libero sfruttamento edificatorio da parte del privato proprietario.

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